Un paziente, appassionato e lungo lavoro di ricerca, che apre una ricca veduta su un’epoca che non dobbiamo dimenticare e su vicende che costituiscono l’anima stessa della nostra montagna...
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LA PREFAZIONE DEL LIBRO A CURA DEL PROFESSOR VINCENZO CERULLI IRELLI
L’autore di questo libro, uno dei principali protagonisti dell’alpinismo sul Gran Sasso degli ultimi decenni, è un uomo che vive di un amore immenso per la montagna. Essa è la sua casa, tanto che le cose, gli uomini, le avventure e tutto ciò che la riguarda sono al centro dei suoi pensieri e dei suoi affetti.
E così, un giorno, dopo aver trovato pubblicate su una rivista alcune righe del libro del Garibaldi scritte da Cichetti alcuni istanti prima di lasciare il rifugio, viene preso dal desiderio di rievocare quella tragica vicenda e di ricostruire la vita dei due alpinisti. Tante volte, percorrendo la Val Maone, si era soffermato, pensoso e commosso davanti ai piccoli monumenti di Mario Cambi e di Paolo Emilio Cichetti, avvolti nel verde e protetti dall’ombra dei faggi. E quelle emozioni lo hanno spinto a cercare di capire il perché di quella morte, nella quale quelle vite ricche di eventi, di sentimenti e di amori avessero dovuto spegnersi.
Il libro si svolge su più cerchi concentrici.
Anzitutto c’è l’avventura, mossa dalla passione dei protagonisti, quella stessa passione che fa superare ogni sacrificio, come partire da Assergi a piedi col tempo incerto che volge al peggio, verso il Corno Piccolo, tentare la via Chiaraviglio-Berthelet d’inverno (quello terribile del 1929) e, fermati dalla tormenta, tornare di notte al Rifugio Garibaldi, trovare il rifugio del tutto privo degli attrezzi più elementari (la pala!), essere costretti a lasciarlo, ormai privi di viveri, scendere in Val Maone verso Pietracamela, ma non poterla raggiungere, stremati dal freddo, dalla neve e dalla stanchezza che spezza il cuore.
La vicenda si rappresenta ai nostri occhi nella sua drammaticità, come fatto dovuto a sfortunate circostanze che spezzano l’ardimento degli uomini e che rendono loro irraggiungibile la meta. Ma la loro avventura è parte della storia dell’alpinismo, soprattutto del primo, quello dei tempi eroici, delle prime ascensioni, dell’apertura delle prime vie, della scoperta dello sci alpinismo (questa pazza idea di salire con gli sci per conquistare con la fatica il piacere della discesa!), delle poche attrezzature, delle impervie vie d’accesso e dell’assenza di posti di sosta e di ristoro (su tutta la catena del Gran Sasso c’erano il Rifugio Garibaldi ed il Rifugio Duca degli Abruzzi carenti delle attrezzature essenziali).
E qui, il secondo cerchio della narrazione: la storia dell’alpinismo della quale i due giovani sono protagonisti (di loro vengono narrate anche le altre imprese, quelle felici e fortunate) insieme a tanti altri interpreti del nostro territorio, di qua e di là dal Monte. Particolarmente caro ci è il racconto dei primi alpinisti di Pietracamela, alcuni dei quali abbiamo conosciuto ormai anziani, ma ancora vigorosi e del carissimo Lino D’Angelo, allora bambino di sette anni, che ricordava ancora la tragedia. Toccanti sono lo stupore e la commozione della comunità che, una volta conosciuta la sciagura, avviava i primi, difficilissimi soccorsi.
Ma anche alpinisti di altre parti d’Italia vengono attratti da questa straordinaria montagna. E tra questi, il lettore trova con sorpresa grandi personaggi della nostra storia scientifica e intellettuale, i fisici di Via Panisperna, essi stessi coinvolti nel dramma e partecipi dei soccorsi. Un’immagine dell’alpinismo che si accompagna alla scienza, come a completare, attraverso lo sforzo fisico e la gioia della conquista, lo sforzo della mente che tenta nuove vie del sapere. C’è un terzo cerchio della narrazione, quello degli affetti e dell’amore: le fidanzate che attendono a Teramo, nel calore di dolci vite familiari, la città che sta vivendo il carnevale, le ragazze che si preparano per la festa del giovedì grasso, una festa che non arriverà mai, sepolta nella neve della Valle del Rio Arno.
L’autore scava nei ricordi, negli oggetti (l’anello!) e nei sentimenti che affiorano dalle vecchie testimonianze. La morte qui risalta in tutta la sua inspiegabile assurdità, nel momento in cui viene confrontata alla vita che è in moto, che attende e che, all’improvviso, viene spezzata. Un quarto cerchio della narrazione è quello della società dell’epoca, nella quale i due giovani protagonisti, i loro genitori e le loro famiglie, sono inseriti con piena partecipazione. L’immagine della società nell’atmosfera del fascismo, che oggi ci sembra tanto lontana, qui compare e viene rappresentata in quegli aspetti che restano positivi, lo sport, il coraggio giovanile, il gusto dell’avventura ed il piacere di osare oltre i propri limiti. Al di là della retorica dei discorsi, c’è qualcosa di vivo e di vero, qualcosa che si rende concreto nella vita e nella morte di Mario e di Paolo.
Credo che dobbiamo essere grati a Pasqualino Iannetti per questo paziente appassionato e lungo lavoro di ricerca, che apre una ricca veduta su un’epoca che non dobbiamo dimenticare e su vicende che costituiscono l’anima stessa della nostra montagna.
Vincenzo Cerulli Irelli